Arianna è un'infermiera del reparto di terapia intensiva dell'Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

16.09.2020

Arianna è un'infermiera del reparto di terapia intensiva dell'Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

Arianna è prima di tutto una persona che ha deciso di mettere nero su bianco il suo vissuto interiore in questo periodo delicato e provare a farci vedere attraverso i suoi occhi la fatica che si cela dietro una mascherina.

La ringrazio per avermi dato la possibilitá di condividere questa preziosa testimonianza.
⬇️⬇️⬇️

"È ora di condividere delle parole che avevo scritto per sfogarmi. Questa nota l'avevo scritta agli inizi di marzo, prima che scoppiasse la vera pandemia. Erano i primi turni nei covid.
Ora spero solo che non si riproponga tutto di nuovo. E spero che possa essere utile come messaggio per tutti 😘

Sono un'infermiera e lavoro in terapia intensiva.
Sono un'infermiera, e questo lavoro, a differenza di alcuni altri, non ce n'è: ti piglia cuore e anima.
È un crescendo di amore e odio: alcuni giorni va meglio e altri va peggio. La differenza è che a un'ora dalla fine del tuo solito turno dici: "meno male che manca un'ora e posso...."
Quei puntini fino a due settimane fa, erano sostituiti da un sacco di parole e frasi che ti sollevavano e ti liberavano da macigni, sensi di colpa, nervosismo e tensioni.
Adesso, oggi ci diciamo: "meno male che manca un'ora e posso respirare".
Ho voglia di togliere quella dannata mascherina e tirare un fiato di sollievo. Perché anche se circolano meno macchine, e l'aria di Milano sicuramente sarà meno satura di smog, è comunque pesante.
Ho voglia di tornare a casa e farmi un aperitivo con gli amici.
Ho voglia di andare in giro, vedere una mostra, andare all'estero, iscrivermi a corsi di qualsiasi cosa. E come me, questa voglia, ce l'hanno tutti.
È un po' come la dieta: serve spirito e forza d'animo quando vai in pizzeria e ordini un'insalata scondita con pollo alla piastra. Ora servono le stesse cose per stare a casa.
Il mio percorso di questi giorni è casa-lavoro lavoro-casa.
Torno a casa, mi ficco subito in doccia, si mangia qualcosa e subito desideri diventare un tutt'uno con il divano o con le lenzuola del letto: hai i muscoli che ti fanno male, i piedi gonfi perché hai trottato avanti e indietro, i pensieri a mille, la faccia segnata.

La faccia segnata.

Quel "segno" sul naso si chiama lesione da pressione. Ed è la stessa lesione da pressione tanto agognata da noi infermieri. Tanto è la gravità di come si presenta, quanto noi la curiamo e la trattiamo con creme, garze, medicazioni avanzate e chi più ne ha più ne metta.
Quella stessa crema di ossido di zinco, che spalmavo sull'arrossamento di qualche paziente in qualsiasi regione del corpo, ora è diventata parte di un rito. Un nuovo rito.
Prima del prossimo turno, io e il mio compagno ci sediamo sul divano a gambe incrociate, occhi negli occhi, spremiamo il tubetto. Naso, guance, orecchie e fronte. Tutti punti dove qualcosa preme e lascia un segno. Come quando cammini sul bagnasciuga, la tua impronta rimane e ora desidereresti solo un'onda che la cancelli. Maledetta maschera FFP3.
Peccato che i solchi vengono impressi anche sulle parti non visibili e non palpabili del nostro corpo.
Spalmo la crema con cura, e intanto lo guardo e mi si stringe lo stomaco. E cerco di non darlo a vedere troppo. Se ora si crolla, è la fine.
Questo boccone amaro più che difficile da mandare giù, è proprio gommoso da masticare.
Viene un po' la rabbia a pensare che ormai tutti ci osannano come eroi.
Io non sono un eroe. Io sono un'infermiera ma prima di tutto sono una persona.
Una persona come tutti: ho studiato, ho fatto esperienza nel mio campo, ho raggiunto degli obiettivi. E non sono quelli di tutti? E le stesse cose per più o meno tutti i lavori?
Io non sono un eroe. Io sono un'infermiera, ma prima di tutto una persona.
Una persona come tutti: ho una mia piccola famiglia, a cui tengo molto e che voglio proteggere.
Io non sono un eroe. Io sono un'infermiera, ma prima di tutto una persona.
Una persona come tutti: mi piace staccare da lavoro e correre dal mio compagno a casa o dagli amici per ridere e scherzare e condividere momenti insieme. Amici a cui tengo molto e che voglio proteggere.

Se ci riesco io a stare a casa, con i miei gattoni, io che sono sempre fuori e che ho sempre voglia di fare cose/viaggiare/incasinarmi, il resto del mondo non ci riesce?

Figuriamoci quanta voglia possa avere di solito di bermi una bella birra a fine turno e ascoltare quelle quattro cagate che si dicono tra amici.

Figuriamoci quanto voglia possa avere ora, in questi giorni.

Smontando da turni faticosi, che ti tolgono il senso dello scorrere del tempo perché non sai nemmeno che giorno è. Dove l'organizzazione di un ospedale cambia secondo nuove direttive (tanto di cappello a tutti gli ospedali) e cambiano anche quelle poche abitudini che erano rimaste prima di questo disastro. Tutto nuovo: schede e cartelle,percorsi pulito/sporco, aree dedicate, vestizione, svestizione, reparti creati nelle sale operatorie, chi più ne ha ne metta.
E non scordiamoci quella maledetta mascherina FFP3.

E comunque nonostante tutto questo mi bevo la mia birra fredda a casa, spalmando creme sul divano e aspettando che finisca questa "nuova normalità".

Ricorre sempre uno stesso pensiero:
State a casa, andrà tutto bene.

Dima.

(P.s. non ho voluto nominare nessun organismo dotato di RNA: almeno qui posso debellarlo, sulla carta, e provare a farlo anche fuori da questo mio scritto, in reparto tutti i giorni)".